“La società di consumo pone alla base del proprio costrutto la distinzione tra valore d’uso e valore simbolico o di immagine degli oggetti. Il consumo viene quindi a svolgere un ruolo sociale fondamentale: “Produce infatti delle identità sociali immediatamente acquistabili e scambiabili sul mercato, per ridurre la complessità sociale, produce cioé delle immagini prefabbricate e totalmente pubblicitarie, nelle quali potersi identificare e grazie alle quali interagire con gli altri individui” (Codeluppi, 1990). CIò significa che il consumo diviene sempre più comunicazione e immagine e sempre meno funzione. Così i comportamenti di consumo, alla ricerca di nuove forme di coscienza di gruppo, offrono attraverso gli oggetti (abiti, accessori ecc.) nuovi simboli di identità, originando diversi stili di vita che, trascinati dalla comunicazione, affermano le mode.” (…) “Il consumatore, comprando i prodotti, sempre meno ne acquista le caratteristiche fisiche e le prestazioni e sempre più i tratti di personalità e gli elementi di natura comunicativa: compra cioè delle immagini con cui comunicare agli altri i propri valori. (…) La marca si alimenta della comunicazione, il cui ruolo è quello di attrarre emozionalmente il consumatore, esaltando la differenziazione e il mondo in cui si colloca e vive il prodotto. Alla competizione nelle prestazioni base e dei benefici specifici della marca, si aggiunge quindi la competizione dei mondi delle marche che coinvolgono più o meno fortemente i consumatori, spingendoli alla fedeltà di marca” (tratto da “La Comunicazione d’azienda”, di Collesei e Ravà)
Torniamo al concreto quotidiano. Se trovare un lavoro diventa sempre più complesso, tra un like di qua e uno share di là su internet si accumulano invece contatti molto utili. Questa web popolarità nella maggior parte dei casi è aria fritta ma a volte può essere una vera miniera d’oro: grazie alle nuove tecniche di personal branding si può racimolare un bel gruzzoletto, cedendo spazi virtuali. Ma internet non è solo questo: tutti i grandi marchi propongono attività on line da cui ricavare qualche premio succulento. Ogni click vale un credito per partecipare a un instant win, che anche se va male ti iscrive a un contest in cui potrai in ogni caso essere estratto nel concorso finale: i premi sono sempre gli stessi, dal viaggio negli Emirati Arabi al cellulare di nuova generazione, perché per essere felici basta davvero così poco. E così accade che un prodotto (o un marchio), causa sovraesposizione mediatica cessi progressivamente di essere “oggetto del desiderio” di per sé, per diventare “premio del concorso” o “bonus di abbonamento”. Come strategia di marketing è vecchiotta (il meccanismo del premio finale in cambio della fedeltà al brand è quello che propongono quasi tutte le religioni dalla notte dei tempi) ma potrebbe anche funzionare in tempi di vacche grasse, dove l’utente invece di aspettare corre in negozio. In tempi magri, invece, un numero crescente di utenti aspira al prodotto ma preferisce averlo dopo come gadget piuttosto che pagarlo subito fully priced.
Se il titolo del prodotto in questione è leggermente sovracapitalizzato (solo 1,5 volte l’intera borsa italiana, ad esempio), puo’ crearsi un po’ di volatilità.
Non stupisce quindi che Apple (AAPL) si becchi una scoppola di 160 USD (-23% dai massimi storici) e che ritorni sui prezzi di fine Febbraio, anzi esattamente sui prezzi del 29 Febbraio: una data interessante….
Post dello scrivente su Apple del 29 Febbraio 2012: “Provate a dire a un professionista del settore che Apple è in bolla: vi diranno che non è vero, vi diranno che Apple è un’azienda meravigliosa (e lo è senza dubbio) destinata a cannibalizzare tutte le altre aziende del settore sul mercato. E molto probabilmente per qualche mese ancora lui e tutti quelli che sono ultrabullish su Apple avranno ragione. Nessuno, men che meno il sottoscritto, ha la piu’ pallida idea di dove si concluderà questo movimento:
anzi, storicamente queste situazioni perdurano ancora qualche mese prima del climax conclusivo,
dopo che che qualcuno, tra lo scetticismo generale, comincia a segnalarle. Apple da mesi sale con volumi che scendono. Il ristorante alza i prezzi ma gli avventori sono sempre meno. (…) Attenzione: opporsi a questi movimenti (= andare short) nella loro fase conclusiva è tuttavia come cercare di fermare un treno impazzito col pensiero. Anzi: bisogna seguirli, questi movimenti. Ma lo scrivente si permette – esattamente come fece tra fine 1999 e inizio 2000 poco prima dello scoppio della bolla di Internet – di suggerire ai suoi lettori di monitorare per bene le proprie eventuali posizioni, alla vigilia di altre strombazzate magnificenze come il collocamento di Facebook…” Ripeto: 29 Febbraio 2012, APPLE a 542 come oggi.
Subito dopo questo pezzo su Apple, venni bombardato di analisi ultrabullish sul titolo, ricevetti decine di post sconnessi da parte di azionisti entusiasti e ricevetti anche un invito in una trasmissione di CNBC per festeggiare la grande premiére di Facebook in borsa. In quell’occasione, tra lo stupore generale (ai tempi avevo anche postato il video), non solo reiterai i miei dubbi su Apple ma espressi pesanti dubbi sul successo borsistico di Facebook. Mi invitarono di nuovo per mostrare in pubblico il fenomeno da baraccone, L’Uomo Che Parlò Male di Apple e di Facebook. In realtà io non dissi nulla che non fosse già chiaro: Apple era palesemente una bolla e Facebook (borsisticamente) una probabile bufala mediatica, almeno inizialmente.
Mi scrisse tra gli altri una gentile signorina, la quale mi disse che il loro capo li aveva tutti convinti a comperare Apple perché “era chiaro a chiunque che sarebbe andata a 1000 e oltre”. Questo capo tanto premuroso è il segno distintivo della mania, nemmeno vissuta in solitudine come sarebbe doveroso, ma addirittura imposta in sharing agli altri, siano essi amici, familiari o collaboratori. Tornando a Faccia-libro sappiamo tutti com’è andata.
Apple lo stiamo vedendo. Stupisce semmai che qualcuno in quella trasmissone (ora lo posso dire) avesse preso per oro colato le parole di azionisti che si dicevano certi che il titolo sarebbe andato a 1000 e oltre (mai mettere limiti alla provvidenza). Se voi aveste milioni di dollari investiti in un titolo andreste sui media a parlarne male? Non credo.
Esistono fasi sui mercati finanziari dove si creano – per un insieme di motivi – condizioni particolari, a volte uniche. Queste condizioni danno vita a opportunità ma anche – talvolta – a rischi: si pensi alla bolla della tecnologia della fine degli anni ’90 e alla bolla immobiliare e del credito di qualche anno fa, poi esplosa nella “crisi Lehman” del 2008, ma anche alle opportunità che si creano ogni volta che una crisi rientra.
La cosa forse più interessante – dal punto di vista dell’analisi comportamentale – è che questo tipo di situazioni si maschera, nel suo divenire e in special modo nella sua fase finale, in modo camaleontico o forse meglio “alla Zelig”, apparendo qualcosa di completamente diverso da ciò che è in realtà: il rischio si maschera da opportunità, l’opportunità al contrario si traveste da rischio. La conseguenza è che la maggioranza degli investitori, e spesso anche i professionisti del settore, non avendo una adeguata percezione della situazione reale per cause diverse (una delle più frequenti è un eccesso di emotività), cade nella trappola tesa dai mercati e quindi acquista quando il prezzo è troppo alto oppure vende quando il prezzo è troppo basso.
Non è sempre facile smascherare queste situazioni, ma ci si può provare e a volte ci si riesce. Poiché i mercati oscillano sempre tra avidità e paura, tra compiacenza e rischio, proviamo a definire ad esempio quali sono i punti distintivi della fase conclusiva di un eccesso di compiacenza/avidità (bolla):
1. l’accettazione universale, sorretta da un sostegno mediatico, dell’idea di perpetuazione della salita;
2. l’eccesso di presenza di un asset nei portafogli (specie dei piccoli investitori), non un generico eccesso di valore, che è solo figlio del primo;
3. una bolla – per esistere ed essere davvero tale – deve “far male” finanziariamente a tanti, quando scoppia.
4. il trend nella parte finale della salita diventa parabolico
Apple rimbalzerà, risorgerà, tornerà a 700 e forse a 1000, chissà: oppure subirà la Legge del Dimezzamento, che impone che quando una bolla scoppia il primo target è la metà dei massimi (350 USD… sento già un fremito di orrore tra le folle…). Ma resta il fatto che dei Quattro Segni Distintivi di una Bolla a Apple nei mesi scorsi non ne mancava proprio nessuno.
Consolatevi, Apple-believers: siete dei dilettanti in confronto a un’altra bolla che si sta sviluppando sui mercati occidentali, mille volte maggiore, mille volte meno strombazzata e che quindi farà a tempo debito molto più male. E ce l’hanno già tutti in portafoglio….
Nel frattempo, sul blog per chi può scaricare Silverlight di Microsoft (non accessibile dai tablet, mi risulta) ho messo in HP da un mese i due grafici settimanali di APPLE e del ML BIOTECH, con qualche indicatore che può servire per capire cosa sta succedendo, a che punto è la correzione ed eventualmente quando rientrare. Su quale tra i due rientrare come investitore, ho le mie marcate preferenze personali.
Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.