Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972) era un incisore e grafico olandese. Mettendo in dubbio la percezione e ponendo assurdi indovinelli senza risposta e senza senso, Escher si divertì a proporre immagini contraddittorie, immagini che giocano con la realtà e l’irrealtà. Ispirati al paradosso, all’illusione, al doppiosenso i suoi lavori sono inoltre, in gran parte, per varie ragioni, collegati al ciclo, tema ricorrente della sua opera, molto amata dagli scienziati, logici, matematici e fisici che apprezzano il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza. L’impossibile ed il paradosso si fanno punti forza dell’opera di Escher: di fronte a “Relatività” ci troviamo ad osservare scale che salgono e scendono in ogni direzione, in aperta contraddizione con la nostra concezione della realtà.
Anche in “Salendo e scendendo” la struttura composta dall’artista olandese forma un ciclo che si chiude, se pure con qualche via di fuga (che potrebbe però portare di nuovo ad un altro ciclo?), su se stesso. Non c’è modo di non vedere l’immagine come un mondo senza senso se non, forse, rimettendo in discussione il nostro concetto di realtà e rinunciando a riconoscere, secondo le nostre leggi fisiche, in che rapporto le cose stiano tra di loro. Le immagini di Escher sono basate sullo stesso principio: esse hanno come solido punto di riferimento forme realistiche ben riconoscibili che poi sono messe insieme nei modi più strani. Quando l’osservatore percepisce il paradosso è ormai troppo tardi: non può più rivalutare gli oggetti che ormai ha identificato e dati per certi e rimane allibito di fronte ad un’immagine inconciliabile con il suo concetto di realtà.
Cosa c’entra Escher con la situazione attuale? Il punto di contatto è che nell’intreccio tra politiche economiche, bubboni di crisi, percezioni reali, percezioni indotte e andamento dei mercati vi sono tali e tante contraddizioni, che è impossibile metterle insieme su un piano razionale. Ma mentre le opere di Escher sono un esercizio artistico, economie e mercati sono una realtà con la quale tutti interagiamo nella nostra vita.
Esiste una strettissima correlazione binaria tra i movimenti di lungo periodo dei mercati e i cambiamenti del tessuto socioeconomico. Gli uni vanno di pari passo con gli altri, ne sono sintomo e insieme causa: ed è proprio all’interno dei trend generazionali degli assets finanziari, in particolare delle borse, che si collocano i grandi mutamenti sociali e politici (prima sociali e poi politici!), spesso traumatici. La sensazione crescente è che dietro a quei grafici di lungo periodo che ho presentato anche in occasione dell’IT di Rimini – che mostrano tra l’altro come questo QE non sia il primo (anche se gli altri non avevano richiesto tutti questi sforzi, partendo i tassi a breve da livelli superiori ed essendo le economie molto meno malate) ma sia il più lungo – si nasconda una realtà di portata superiore: che sia quindi in fase di conclusione, dai mercati verso la realtà sociale, la traslazione di alcune grandi questioni irrisolte.
E’ necessario interrogarsi e ricevere risposte concrete su come sia possibile che un mondo che è stato interamente stravolto dalle innovazioni tecnologiche degli ultimi due decenni – e che è ancora nel processo di riscrivere le proprie regole etiche e sociali – sia ancora governato da un approccio alle politiche economiche che risale al secolo scorso.
E’ necessario interrogarsi e ricevere risposte concrete su dove stia andando, alla luce delle curve demografiche e dei tassi zero, il sistema socio-pensionistico dell’occidente.
E’ necessario interrogarsi e ricevere risposte concrete su chi pagherà il conto del castello di carte rappresentato dal debito di gran parte dei paesi occidentali, acuito dalla necessità di tappare le falle delle recenti crisi.
E’ esercizio sempre più fine a sé stesso – direi simile allo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia davanti al leone: non lo vedo, quindi non esiste – il continuare a discutere dello stato di salute dell’albero (gli indici) o del singolo ramo (i titoli), senza guardare cosa succede alla foresta. E’ perciò impossibile affrontare il quadro tecnico delle borse mondiali o in generale dei mercati senza toccare prima il contesto di assoluta eccezionalità in cui tale quadro si sta sviluppando, in particolare la situazione del debito governativo e le conseguenti azioni delle banche centrali. In queste ultime sedute, i rendimenti dei Bund tedeschi a 10 anni si sono portati fin sotto lo 0,10%. Questo significa che, in termini reali, un investitore che acquista a questi livelli – al netto delle commissioni, delle tasse ecc. – paga il governo tedesco perché gli tenga i soldi per dieci anni e nel contempo monetizza l’assoluta certezza di perdere in potere di acquisto, a meno di entrare in un periodo di profonda deflazione.
Queste non sono opinioni ma numeri, che trovano una possibile spiegazione solo attraverso l’analisi di tre scenari:
(1) l’Europa (= l’Euro) si sta sfaldando;
(2) l’Europa (= il mondo occidentale) si sta avviando verso una nuova fase di recessione e deflazione;
(3) è in atto sui titoli governativi dell’Europa cosiddetta “forte” (ma non solo: anche sul debito USA) una bolla speculativa che – per dimensioni e potenziali conseguenze – è la Madre di Tutte le Bolle.
Nel caso 1 – con molti se e ma – l’investitore potrebbe aver ragione a investire sui Bund, se non altro per tutelarsi: l’incognita, lo si sa, è quella del Brexit visto ormai non come un referendum ma come un potenziale attacco atomico.
Nel caso 2, visto l’attuale fortissimo appiattimento della curva dei tassi, l’investitore dovrebbe preferire il debito di altri paesi: la storia dei mercati insegna che quando il differenziale tra rendimenti a lungo e a breve assume una tendenza all’appiattimento come quella attuale con i tassi a breve su minimi storici, entrambi sono prezzati male in termini di rapporto rendimento/rischio.
Nel caso 3, come sempre succede in tutte le bolle, si passerà in modo talmente repentino dall’osservazione passiva del fenomeno al riconoscimento dell’eccesso, che l’investitore resterà col classico cerino in mano.
Il caso 1 è di gran lunga il meno probabile, anche se è proprio quello su cui si basa il “ragionamento emozionale” di alcuni investitori. Il caso 2, che è quello su cui punta il trend dei dati degli ultimi mesi (che potrebbe comunque essere rovesciato dal binomio borse al rialzo + fiducia dei consumatori al rialzo), implica una lunga coda deflazionistica e recessiva della crisi, sullo stile degli USA post-’29 e del Giappone post-’90. Il caso 3 è il più complesso, sia che la causa dello scoppio sia il riversarsi sulla struttura dei tassi della mostruosa liquidità fittizia (fiat money) che è stata creata dai governi per rimediare a decenni di errori keynesiani di politica economica e sociale, sfociati sui mercati negli ultimi 20 anni in una sequenza senza fine di bolle speculative, sia che la causa sia semplicemente l’innescarsi di una situazione di insolvenza a catena. In due casi su tre (il 2 e il 3), l’investitore che acquista Bund adesso (cioè la cosa considerata più “sicura”) sbaglia: in uno, poi (il 3), sbaglia tantissimo. Anche nel caso in cui abbia ragione (caso 1 = crisi dell’Euro), l’aver visto giusto potrebbe servirgli a poco. Un economista potrebbe obiettare che – data la struttura matematica della costruzione del prezzo di un’obbligazione – una bolla sui bonds è impossibile in quanto il prezzo ha un suo limite sul punto in cui il rendimento è zero: il problema è che lo zero in molti casi è già stato ecceduto al ribasso senza che (quasi) nessuno si interrogasse pubblicamente sul senso dell’applicare una tassa nascosta al risparmio dei cittadini. Una bolla non è solo una questione di matematica ma anche di logica. E la logica porterebbe a concludere che, in parte o in tutto, il prezzo finale di questo gigantesco quadro di Escher – non molto diverso da un classico schema Ponzi, da cui differisce fondamentalmente solo in quanto alla base non c’è truffa o volontà di guadagno, ma solo l’accettazione del fatto che alle banche centrali è dato potere di stampare moneta all’infinito e di arrivare all’assurdo di farsi pagare dal creditore i propri debiti – sarà pagato dai cittadini sotto forma di tasse (anche i rendimenti negativi sono una tassa!), con le conseguenze del caso: il debito non può essere ripagato da altro debito all’infinito. Mi limito a constatare che in questo momento i mercati tradizionali sembrano girare da un anno come un criceto nella ruota: molta fatica, pochissimi risultati (a parte qualche segmento di nicchia come gli auriferi). Non ho certezze, né soluzioni da proporre oltre che quelle dei miei modelli, ma qualcosa di interessante da questo ragionamento emerge: il debito governativo delle economie avanzate come asset class probabilmente meno efficiente, meno attrattiva e meno performante dei prossimi anni. La velocità dei mercati sta per aumentare: e l’oro, valvola di depressurizzazione del sistema e vera valuta alternativa, che da inizio anno sale in modo composto, ne è comunque conferma.
“…and the train won’t stop going, no way to slow down.” (Jethro Tull, “Locomotive breath” dall’album “Aqualung”, 1973)
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Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.