Come investitori, siamo essenzialmente abituati a comperare. Di conseguenza, prima di comperare cerchiamo di comprendere che rapporto rendimento/rischio ha ciò che intendiamo acquistare, esattamente come si valuta l’opportunità o meno di un qualsiasi acquisto o di una qualsiasi spesa in relazione al prezzo. I tassi così bassi hanno tuttavia avuto un interessante effetto collaterale: hanno rovinato la cultura del rischio, perché l’idea della perpetuazione (intesa in termini soggettivi di orizzonte temporale di qualche anno) dei tassi zero e l’apparente garanzia di un’entità superiore, rendono di fatto interessante tutto. Ci dimentichiamo che l’obbligazione non è altro che un prestito, che il prestatore (chi ha il capitale) fa all’emittente (chi chiede il prestito) in cambio di un reddito (interesse).
Il tasso di interesse di un’obbligazione è dato da due elementi: ciò che viene pagato per il rischio di tasso e ciò che viene pagato per il rischio di credito. In sostanza: più è a lunga scadenza l’obbligazione, più deve rendere; più è incerta la solvibilità del debitore, più deve rendere. Un’obbligazione che rende zero o che ha un rendimento negativo è quindi un puro nonsenso, un concetto simile alle scale di Escher: perché devo prestare soldi a qualcuno che (oltre ad avere comunque una minima possibilità statistica di rischio di diventare insolvente e a farmi correre comunque un rischio liquidità in caso di crisi di mercato) non mi paga nessun interesse? O addirittura lo devo pagare io (tassi negativi)? E’ chiaramente meglio tenere i soldi fermi e disponibili.
Ma, andando più a fondo, quali sono state le conseguenze economiche dei tassi di interesse ultra-bassi? La risposta potrebbe non essere così semplice come si potrebbe pensare. John Maynard Keynes, uno degli economisti più influenti del 20° secolo, conosciuto per aver teorizzato il ruolo del governo nello stimolare l’economia, ha anche fornito il quadro intellettuale per una forte riduzione dei tassi di interesse, con due obiettivi in mente: ridurre la disuguaglianza economica e raggiungere la piena occupazione.
Ecco cosa aveva da dire sul “rentier” (termine arcaico per “risparmiatore”) al capitolo 24 del suo libro seminale “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, pubblicato nel 1936.
“I difetti di spicco della società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di fornire per la piena occupazione e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi. (…) Dalla fine del XIX secolo significativi progressi verso la rimozione di grandi disparità di ricchezza e di reddito sono stati realizzati attraverso lo strumento delle imposte dirette – imposte sul reddito, Irpef e tasse di successione – in particolare in Gran Bretagna. (…) Però abbiamo visto che, fino al punto in cui prevale il pieno impiego, la crescita del capitale non dipende affatto da una bassa propensione al consumo ma, al contrario… solo in condizioni di piena occupazione una propensione bassa al consumo è favorevole alla crescita del capitale. (…) Ora, questo stato di cose sarebbe del tutto compatibile con un certo grado di individualismo, ma ciò significherebbe l’eutanasia del rentier, e, di conseguenza, l’eutanasia del potere oppressivo cumulativo del capitalista di sfruttare la scarsità di valore del capitale. L’interesse oggi non premia nessun sacrificio vero e proprio, non più di quanto (possa premiare) l’affitto di terreni. Il proprietario del capitale può ottenere interesse perché il capitale è scarso, così come il proprietario del terreno può ottenere l’affitto perché la terra è scarsa. Ma mentre ci possono essere ragioni intrinseche per la scarsità di terra, non vi sono ragioni intrinseche per la scarsità di capitale. (…) Vedo, quindi, l’aspetto rentier del capitalismo come una fase di transizione che scomparirà quando avrà fatto il suo lavoro. E con la scomparsa del suo aspetto rentier molto altro subirà un cambiamento di rotta. Sarà, inoltre, un grande vantaggio dell’ordine di eventi che io sto sostenendo che l’eutanasia del rentier, dell’investitore senza utilità , non sia improvvisa, ma sia solo una continuazione graduale ma prolungata di quello che abbiamo visto di recente… e che non sia necessaria alcuna rivoluzione.”
In effetti, non è stata necessaria alcuna rivoluzione. I tassi di interesse sono costantemente diminuiti nel corso degli ultimi 30 anni. Tuttavia, l’ultima (ultima?) fase di questo declino è stata in gran parte dovuta a un intervento senza precedenti da parte delle banche centrali più importanti del mondo, sotto forma di tassi di interesse estremamente bassi e successivi cicli di quantitative easing, in cui sono state acquistate migliaia di miliardi in titoli statali. Di conseguenza, il capitale è stato screditato davvero. A questo punto, anche dopo la prima botta di rialzo dei tassi degli ultimi mesi del 2016, ci sono ancora un mare di obbligazioni europee che hanno rendimenti negativi o ridicoli, specie in relazione a duration e rischio di credito. Personalmente, metto anche tutta la parte lunga e lunghissima dei governativi italiani in questo mare. Se fosse vivo oggi, Keynes senza dubbio applaudirebbe tutto questo e darebbe il cinque ai suoi seguaci della banca centrale. Ma l’investitore? Cosa è logico che faccia? Cosa può fare?
Ciò che rende poco vale poco, ciò che non rende niente non vale niente: e se vale poco o niente bisogna venderlo perché scenda di prezzo e ritrovi un equilibrio di valore. Il reddito di un asset finanziario è un dato certo: in un determinato momento, che chiamiamo t(0), il reddito è ciò che viene pagato dal sottostante sotto forma di cedola o, nel caso delle azioni, dagli utili (che vengono parzialmente distribuiti sotto forma di dividendo).
Oggi nei mercati finanziari, in termini di reddito, ci troviamo esattamente all’opposto rispetto al 2008. Nel dicembre del 2008, il P/E sullo S&P 500 era 8, con utili netti del 12,5%, il reddito dei titoli di Stato a 10 anni era del 5%, il reddito delle obbligazioni Corporate Investment Grade era del 8,5%, il reddito delle obbligazioni High Yield era del 23%, delle obbligazioni Emerging Market Bond era del 16%. Le differenze di reddito tra le attività finanziarie USA e EUROPA erano minime.
Oggi, marzo 2017, il P/E sullo S&P 500 (dato Bloomberg) è 21,96, con utili netti del 4,55%, il reddito dei titoli di Stato a 10 anni è del 2,48% sui titoli di stato USA e dello 0,31% sui Titoli di Stato a 10 anni della Germania, il reddito delle obbligazioni Corporate Investment Grade Europa è del 0,96%, il reddito delle obbligazioni High Yield Europa è del 4,10%, delle obbligazioni Emerging Market Bond in Dollari USA è del 5,76%. I redditi delle attività finanziarie USA sono oggi di circa 2 punti piu’ elevati dei redditi delle attività in Europa.
Dal 2008 ad oggi, il rendimento (reddito+rivalutazione/svalutazione Capitale) nelle attività sopra citate è stato enorme nelle attività obbligazionarie e addirittura del 200% nelle attività Azionarie. Che conclusioni trarre?
1) quando il reddito è elevato (2008), è certo il Capital Gain
2) quando il reddito praticamente non esiste (oggi) è certo il Capital Loss.
3) vendendo le attività obbligazionarie governative europee allo scoperto, oggi, diventa certo nel medio termine il Capital Gain.
4) nei prossimi anni, il rendimento (reddito +rivalutazione/svalutazione Capitale), sarà prodotto dal Capital Gain e non dal reddito visto che praticamente è inesistente.
L’investitore deve dimenticarsi i rendimenti degli ultimi anni. Oltre a farlo, deve capire come allocare i propri soldi. Una delle caratteristiche dei mercati è la costante migrazione mentale dei partecipanti – e non parlo solo degli investitori o del cosiddetto parco buoi ma anche della supposta elite culturale del settore finanziario – da un atteggiamento di paura della propria ombra a un atteggiamento di fiducia sconfinata in un futuro tendente alla perfezione. Entrambi questi atteggiamenti sono sbagliati: ma sono anche misurabili, in particolare può essere misurata la relazione che intercorre tra un indice e la sua volatilità. Quando questa relazione arriva a certi livelli il mercato può essere oggettivamente definito in una fase di compiacenza e questa di questo inizio 2017 è una fase che si sta avviando decisamente in questa direzione. Nel migliore dei casi, alla compiacenza segue, inevitabile, la volatilità, che da Aprile in poi tornerà a farsi sentire un pò dappertutto.
Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.