Il tanto atteso “rimbalzellum” delle borse è ufficialmente in atto, anzi se consideriamo i mercati europei è già a Settimana 3 ed ha raggiunto la prima serie di target (+15% dai minimi). In tre giorni il mood dei mercati – sempre più simili a un cavo spezzato dell’alta tensione e altrettanto pericolosi – si è girato da un catastrofismo assoluto a uno speranzoso ottimismo. Ha anche aiutato, e non poco, l’intervento concertato di martedì 4 sugli indici USA, fatto nell’ultima ora di contrattazioni da autorità ben consapevoli dell’importanza dei livelli sui quali lavorava il mercato, il 10600 Dow e il 1100 S&P indicati anche dai miei modelli. Poi sono arrivate dichiarazioni di apertura ecc., storia nota. Queste ultime sedute positive sono rimbalzo o inversione? Guardiamo alla realtà e per farlo partiamo da quadro generale. La prima investigazione necessaria per qualificare operativamente un mercato parte dalla individuazione del trend. Nel caso dei mercati azionari, il trend è ribassista, senza eccezioni e con una struttura matematica interna talmente forte da non lasciare dubbi sul fatto che una inversione strutturale, al momento, sia altamente improbabile. Per capire meglio questo concetto fornisco qualche dato. Ad oggi non c’è un solo indice, fra tutti quelli indagati, che non sia al ribasso sia su base mensile che trimestrale. La percentuale di titoli non in downtrend e quindi “investable” (secondo i miei modelli) è veramente minima: 1,4% in Europa, 3,1% in Italia (comprese mid e small caps), 10,1% negli USA. Nessun mercato emergente. Quindi le borse sono in un downtrend molto forte, ma anche sicuramente in forte ipervenduto (e questo è uno dei fattori tecnici che sta favorendo il rimbalzellum) . Tenete conto che un mercato è da considerarsi “sano” quando la percentuale di titoli “investable” è superiore al 50%. Il secondo aspetto da indagare è: quali sono le motivazioni del ribasso? Possono essere ribaltate o annullate? Cerco di sintetizzare e per far questo mi è necessario ripetere alcuni concetti. Che la situazione dei mercati sia ormai de facto ben oltre la normale definizione di “gravità” lo si capisce da alcuni dati: (1) l’accelerazione esponenziale nella sequenza di riunioni ai massimi livelli (UE, G8, G20 ecc.); (2) l’allargamento di queste riunioni a tutti i rappresentanti economici mondiali, ben al di là dei consueti formalismi e protocolli; (3) la colata lavica di dichiarazioni sempre meno di facciata; (4) l’ammissione che si sta valutando uno scenario di default greco; (5) il downgrade del debito di uno dei paesi-architrave della crisi (Italia); (6) i danni collaterali della crisi sulla liquidità del sistema bancario, a tutti i livelli, dal funding al lending; (7) il piano Twist varato dagli USA. Quest’ultimo è – a mio avviso – di gran lunga il sintomo più preoccupante in quanto (a) sancisce l’inefficacia a livello di rilancio economico e occupazionale delle operazioni di Quantitative Easing 1 e 2 e (b) assomiglia a quello che si fa con la struttura debitoria di un’azienda in stato prefallimentare, cioè l’allungamento forzato della scadenza del debito. In questa situazione caotica, l’unica parasoluzione che sta prendendo corpo – e che è uno dei fattori che hanno innescato il recupero delle ultime sedute – è una specie di “piano Paulson” e di TARP europeo, cioè un intervento governativo in supporto alle banche, in particolare a quelle francesi, per evitare un default a catena. I tempi per intervenire prima di un avvitamento appaiono ridottissimi. In sostanza, quello che si sta cercando di evitare, ancora una volta anche se su un piano diverso, è l’ingrippaggio improvviso del sistema. Un default greco o di qualche banca (ammesso e non concesso che sia pilotabile: e la Lehman non è un buon precedente) sancirebbe una decapitalizzazione a catena di alcuni importantissimi istituti, che sarebbero costretti a vendere gli asset in portafoglio. A qualunque prezzo. Oppure dovrebbero essere salvati dagli stati. La discesa dei mercati ha quindi a mio avviso ben poco a che vedere con questioni di valutazione o speculazione: piu’ che altro è una forma di “liquidazione forzosa”. Le banche, oltretutto, sospingono un’uscita dagli altri asset finanziari, purché i fondi vadano ad aumentare le disponibilità (=conti, bonds bancari). Ovviamente, in queste condizioni, le banche – non conoscendo le condizioni finanziarie le une delle altre – cercano da un lato di fare funding al proprio interno, dall’altro hanno bisogno di un interlocutore superiore per le proprie esigenze di liquidità: le banche centrali e la BCE. Tutto questo, quindi, è un loop che porta a una fuoriuscita dagli asset ma soprattutto a una restrizione del credito a imprese e privati e a una spirale di percezione di difficoltà e di conseguente riduzione di investimenti e consumi. Quando questo “loop” si interrompe, come nelle ultime sedute, le borse recuperano. Ma l’intero meccanismo appare come una palla di neve, piccola e lenta all’inizio ma gradualmente sempre più autoalimentantesi: difficile da controllare e ancora più difficile da fermare e invertire.
Al proposito, riporto un bell’articolo di Isabella Bufacchi (Sole24Ore), che mi è stato gentilmente segnalato da un lettore del blog.
Il sogno dei fondi illimitati – di Isabella Bufacchi – Sole24Ore
I numeroni fanno sempre stragi di cuori. Piacciono, a prima vista, seducono perché fanno sognare. È circolata l’ipotesi di un fondo salva-Stati con una potenza di fuoco da 3mila (o 2mila, perché no) miliardi di euro e questa cifra mozzafiato ha sostenuto le Borse – oscurando provvisoriamente i timori di recessione e default greco – e ha contribuito a riportare lo spread tra BTp e Bund a 385 punti, con il rendimento dei titoli tedeschi in risalita dall’1,71 all’1,81 per cento. Ma esiste un precedente: quando esplose il caso della Grecia, nel maggio 2010, il clamore dell’annuncio del piano da “one trillion dollars” fu seguito da una crisi senza precedenti del debito sovrano europeo. Nella sua prima versione (quella attuale) l’Efsf può emettere bond fino a 225 miliardi, nella seconda (non ancora attuata) 440 miliardi in vista del fondo permanente Esm (anticipato forse dal 2013 al 2012) con una capacità di intervento da 500 miliardi. Ma non basta. Quando a Grecia, Portogallo e Irlanda la crisi di fiducia si è allargata a Spagna e Italia, il mercato ha calcolato che le risorse per ipotetici salvataggi degli Stati europei in crisi di liquidità sarebbero dovute lievitare ad almeno 2mila miliardi (le aste a medio-lungo termine di Italia e Spagna potrebbero superare i 1.200 miliardi nel 2012-2015). Miliardo più miliardo meno, l’arsenale delle munizioni è lievitato verso quota tremila, una cifra che in realtà sta a significare “senza limiti”. Il mercato reclama un’Eurolandia in grado di attingere a un bacino di risorse illimitate per arginare qualsiasi forma possa assumere in futuro la crisi del debito: ricapitalizzare le banche, sostituirsi alle aste dei titoli di qualsiasi Stato, coprire i fabbisogni pubblici per evitare default. La cifra di per sé è un simbolo. E c’è da aspettarsi che, dopo l’infatuazione, dalla forma il mercato passerà alla sostanza. Le uniche risorse illimitate disponibili sono quelle delle banche centrali, e quindi Bce: per questo è spuntata ieri l’idea di un Efsf che si finanzi tramite Francoforte. Altra fonte “illimitata” è la leva: l’Efsf potrebbe garantire in parte (il 20%?) le emissioni dei titoli di Stato di Paesi in crisi di liquidità, consentendo alla Bce di acquistarne senza scrupoli (fino a 2.200 miliardi?). Oppure per estendere a dismisura i confini del superveicolo si potrebbero rilanciare le cartolarizzazioni: impacchettare bond o prestiti dell’Efsf per erogarne dei nuovi. Leverage e asset-backed securities tornano al centro del dibattito, questa volta schierati dalla parte dei “buoni”. Che siano 2mila o 3mila miliardi, con o senza leva, con o senza Abs, queste risorse diventeranno un fardello per gli Stati con le spalle larghe. Eurostat lo ha messo bene in chiaro quando ha contabilizzato gli Efsf-bond come debito pubblico, ripartendoli nello stock dei debiti degli Stati garanti dell’Efsf stesso. Il pozzo senza fondo dal quale attingere potrebbe costare il rating “AAA” a Germania e Francia, persino alla Bce, all’Efsf e all’Esm. Quando il mercato si sveglierà dal sogno da 3mila miliardi, i politici europei dovranno essere pronti a evitare che Borse e spread ripiombino nell’incubo.
L’esistenza di una leva finanziaria in rapida riduzione da livelli che ad Aprile-Maggio erano simili a quelli del 2000 e del 2007 – ma ancora ben al di là di una posizione sana – è un altro elemento di riflessione. Come lo è l’indebolimento dell’Euro, che pare tutt’altro che un trend estemporaneo. Ovviamente, questo quadro non puo’ che riflettersi sulle economie attraverso un deterioramento inarrestabile delle prospettive: siamo passati da uno scenario di “crescita moderata” a uno – tristemente realistico, visti i dati sulla fiducia dei consumatori e sull’occupazione – di “probabile recessione” in un paio di mesi, e non solo per l’Italia. In questo scenario, i mercati stanno reagendo nell’unico modo possibile: privi di punti di riferimento sul lungo, inseguono in modo forsennato ogni stimolo di breve. Il terzo punto da approfondire è: quali sono le prospettive, almeno per le prossime 4-8 settimane (più in là non ha senso andare)? Propongo al proposito due grafici dell’Eurostoxx50. Il primo è mensile e raffigura le quattro situazioni degli ultimi 25 anni “simili” per certi aspetti tecnici a quella attuale.
Nei casi 1 e 2 (’87 e ’90) il calo fu seguito da una riaccumulazione di alcuni mesi e da un ritorno in un anno e mezzo circa sui massimi pre-crisi. Nei casi 3 e 4, il calo fu seguito da un rimbalzo e da nuovi minimi. La differenza è che i casi 1 e 2 si situavano in un contesto economico sano e con una secolarità favorevole, i casi 3 e 4 no. In tutti e quattro i casi, la costante è che una ripartenza immediata a “V” non ebbe luogo. Pertanto, se da un lato l’ipervenduto strutturale che pervade i mercati azionari – perfettamente sintetizzato dalla posizione dei miei due indicatori nella parte inferiore del grafico – appoggia l’ipotesi dell’attuale recupero tecnico, un classico “relief rally”, che si è innescato nel momento in cui c’è stata una striscia di notizie non negative, dall’altro è opportuno non illudersi troppo. Almeno per ora. Per fare un confronto, il quadro tecnico è totalmente diverso da quello che mi aveva portato nel 2003 e in febbraio e marzo 2009 ad indicare che era in formazione un minimo importantissimo. Il giocarsi o meno questo rimbalzo è questione differente e dipende da un insieme di fattori del tutto personali: ad ogni modo, meglio farlo – se del caso – con gli indici piuttosto che con singoli titoli, come sempre nelle fasi negative, e sfruttando le fasi di lettera, invece di “inseguire” il mercato. Nei precedenti post avevo segnalato come – pur all’interno di un trend chiaramente negativo – vi fossero probabilità di un rientro dagli eccessi delle ultime settimane. Questa ipotesi era basata sulla posizione di ipervenduto degli indicatori di breve (vedi grafico settimanale). Rimando al post “Casistica delle correzioni di borsa” per le inerenti considerazioni. Fino a una settimana fa, il rimbalzo si era estrinsecato in termini di volatilità. Ora sta prendendo corpo, aiutato dal forte pessimismo segnalato l’ultima settimana dagli indicatori di sentiment. Tipicamente, questo tipo di recuperi può arrivare a un 20 +/- 5% dai minimi (dipende da diversi fattori): grosso modo, ed a rigorosa condizione che non vengano rotti i minimi di quest’ultima settimana, specie sulla borsa USA, gli indici potrebbero quindi tornare verso 2350-2420 ES50, 16000-16500 MIB, 6000-6300 Dax, 1200-1250 S&P. Questi sono livelli indicativi, che potrebbero essere leggermente ecceduti se al rimbalzo si unissero ad esempio gli hedge funds. Ma la disciplina dice: (A) che il primo grosso recupero dopo un minimo è quasi invariabilmente da vendere; (B) che l’ipotesi di inversione o di un movimento di recupero più ampio potrà essere esaminata solo dopo una fase di stabilizzazione.
Il secondo grafico, molto importante per inquadrare serenamente il momento, è il MIB settimanale. Nella parte alta si vede che l’indicatore di trend sul breve è tornato al rialzo, come peraltro ha sempre fatto anche in occasione delle correzioni al rialzo durante la discesa 2008-2009. Nella parte bassa si vede come l’indicatore si stia rapidamente portando verso la zona sopra a 80 (“zona rossa”), che raggiungerà nelle prossime settimane. Nel calo 2008-2009, come potete facilmente notare, questa configurazione TREND AL RIBASSO + INDICATORE > 80 ha sempre rappresentato eccellenti opportunità di vendita. Attendiamo e vediamo.
(Regola numero quattro: “Non esiste “troppo alto/basso”, “ipercomperato/ipervenduto”: i mercati possono eccedere ogni previsione razionale sia in termini di prezzo che in termini di tempo, prima di tornare razionali” – Applicazione: l’Investitore Disciplinato in questo momento è a zero azioni e non cerca i minimi)
Perché l’Investitore Disciplinato è a zero azioni? Per le ragioni appena esposte: e perché non esiste in questo momento nessun mercato azionario che abbia un trend STRUTTURALE anche solo marginalmente positivo. Perché non cerca i minimi? Perché statisticamente non serve. Nel cimitero degli errori/orrori finanziari la stragrande maggioranza di croci sono tentativi di anticipare i mercati e di andare contro trend finiti male. Avanti, quindi, ma solo chi ha voglia e capacità psicoeconomiche di giocarsi questo intermezzo: con due caveat: diffidare dei recuperi troppo rapidi e verticali; attenzione a una eventuale rottura in chiusura settimanale dei minimi di questa prima settimana di Ottobre, che sarebbe un evento tecnicamente compatibile con un sell-off di vaste proporzioni, stile 2008. Per ora, comunque, come ho fatto vedere sul grafico del MIB nessuno dei miei modelli è maturo per un segnale di vendita di breve (io considero “di breve” il trend su base settimanale, il resto è roba per i trader), quindi da questo punto di vista disco verde al proseguimento del rimbalzellum. Massima cautela però, la luce in fondo al tunnel è ancora troppo fioca: potrebbe anche essere quella del treno che sta venendo addosso.
Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.