Pochi registi hanno la grande dote di essere straordinariamente brillanti in un crescendo di storie di una complessità devastante, perchè l’intricato si porta dietro per forza di cose o la noia o la freddezza. L’idea di base di “Inception” è una delle più geniali della settima arte: non a caso ci sono voluti più di dieci anni per portarlo confezionato nelle sale. Il susseguirsi ossessivo di incastri, di sogni dentro sogni e di molteplici piani narrativi rende praticamente impossibile, nonchè poco consigliato, ricostruirne una trama secondo la fabula. Si può solo dire che il protagonista è Cobb (Di Caprio) e che il suo lavoro consiste nello scoprire i segreti nella mente della persone. Quando un big della finanza giapponese gli chiederà di ribaltare il suo principio lavorativo e morale per favorire l’innesto (“inception”) di un pensiero nella mente di un rampollo miliardario, Cobb entrerà in una spirale di eventi che lo riporteranno dalla sua famiglia, persa tempo addietro. Dire di più comporterebbe rivelare troppi dettagli che a loro volta andrebbero motivati da un’altra infinità di dettagli. Nolan, da sempre astuto fabbricatore di “imperi della mente” alla David Lynch, scava nel più profondo delle sue ispirazioni e si chiede quale caratteristiche potrebbe avere un film costruito macchinalmente come un labirinto da cui uscire passo dopo passo, segno dopo segno. Come in un gioco di scatole cinesi i sogni dell’impianto che Cobb fa costruire ad Arianna (citazione dal famoso mito) sono incastrati l’uno nell’altro perchè, come giustamente sottolinea il protagonista all’inizio della sua impresa, non si può instillare un proposito nella mente di una persona se non ricostruendo su più piani la sua vita, modificandone gli eventi chiave per intimarlo a compiere lui stesso il cambiamento nella sua mente, senza che nessuno glielo suggerisca (stessa “tecnica” a cui doveva stare attento Martin McFly quando in “Ritorno al futuro” non doveva compromettere il suo passato familiare). Dalla prima all’ultima, ogni scena è d’impatto. Considerando che si fa un bassissimo uso di effetti speciali (e non sembrerebbe affatto!) Nolan ha da un lato vinto la sua scommessa: portare sul grande schermo e rigorosamente NON in 3D un film a più dimensioni mentali dove tutto viene a galla con un precisione imbarazzante e non c’è un solo interprete che non meriti una candidatura all’Oscar.
…e quindi? E’ proprio questo il punto. C’è un “e quindi” senza risposta in tutto questo capolavoro di costrutto di mondi, reali ed immaginari, immaginari e poi reali. Dove sta il senso profondo di un film del genere? Cosa rimane dopo? Chi sono questi personaggi? Ovviamente non sto svalutando il tutto ad una mera finzione senza scopo, perchè se il piano narrativo è onirico e fantastico nessuno pretende di farselo piacere come thriller reale, ma…che spessore può avere un film del genere a parte un sublime piacere visivo e una sorta di gioco intellettuale “a chi riesce a capire l’intreccio per primo e nel minor tempo possibile?”. Nolan è un piccolo genio (Memento, Il Cavaliere Oscuro, The Prestige… stupendi) ma ha ancora strada da fare per essere considerato davvero il nuovo Kubrick. Non c’è passione, non c’è introspezione e soprattutto alla lunga ci si stanca di troppe, spettacolari sparatorie/inseguimenti alla James Bond. Quando si punta allo stupefacente, al kolossal mentale, si finisce per sacrificare la parte più interessante, quella che ad esempio non mancava all’Harrison Ford di “Blade Runner”, ovvero il dubbio esistenziale. Non ci si emoziona perchè alla fine i personaggi paiono anch’essi della proiezioni senza spessore. Comunque, al di là delle mie stesse critiche, un film da vedere in quanto evidente atto di amore per il cinema e di assoluto valore formale e spettacolare.
Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.