Bisogna riconoscere che alcune grandi banche americane, in queste settimane, stanno ridefinendo il concetto di “conflitto di interesse”, attraverso un uso mediatico raffinatissimo di alcuni concetti come “asset allocation ideale” e “bull market secolare”.
L’ASSET ALLOCATION IDEALE
È UN MONDO NUOVO
Gli investimenti privi di rischio non esistono più. I mercati sono sempre più volatili. La fiducia degli investitori è scarsa. I mercati finanziari sembrano essere diventati maggiormente rischiosi e le opportunità di investimento più difficili da cogliere. Gli investimenti prima considerati privi di rischio oggi sembrano non esserlo più. Tutti si fanno la stessa domanda:
“Come devo investire i miei soldi?”
La buona notizia è che le opportunità sul mercato non mancano. Crediamo che il tuo portafoglio oggi debba essere sufficientemente flessibile da potersi adattare ai rapidi cambiamenti di mercato e diversificato come non mai. Ciò potrebbe significare investire in una gamma di strumenti più ampia in termini di tipologie di investimento, aree geografiche, stili di gestione e così via.
Un portafoglio più dinamico e diversificato. Cinque idee di investimento di cui parlare con il tuo Consulente Finanziario:
Considera il prezzo della liquidità
Avere un portafoglio investito in liquidità può essere ragionevole nel breve periodo, ma in uno scenario di tassi di interesse bassi il valore del denaro viene sistematicamente eroso dall’inflazione che ne riduce il potere di acquisto futuro.
Diversifica le tue fonti di rendita
Se i prodotti obbligazionari tradizionali non sono in grado di battere l’inflazione, gli investitori potrebbero valutare di assumersi un livello maggiore di rischio investendo in classi di attivo come i titoli azionari che pagano dividendi e le obbligazioni corporate.
Guarda a soluzioni alternative
Strategie e tecniche d’investimento più sofisticate – quali gli investimenti in materie prime e in prodotti a rendimento assoluto – che prima erano riservate ai soli investitori istituzionali oggi sono disponibili ad un pubblico più ampio. Anche se queste strategie presentano dei rischi, i rendimenti che generano non dipendono necessariamente dal comportamento dei mercati azionari ed obbligazionari, permettendo così di aumentare la diversificazione di portafoglio.
Investi attivamente nella gestione passiva
Gli ETF sono fondi aperti indicizzati, quotati in borsa come le azioni, che permettono agli investitori di accedere alle asset class e ai mercati globali in modo trasparente ed efficiente in termini di costi.
Riconsidera il tuo orizzonte temporale di investimento
Viviamo più a lungo. Ciò ci permette di estendere l’orizzonte temporale dei nostri investimenti e di continuare ad essere esposti a mercati rischiosi, come ad esempio quelli azionari, anche una volta in pensione.
Questo è l’annuncio di una grande investment house americana. In sostanza, l’input – neanche tanto subliminale – è che l’investitore deve “crescere”, affrancarsi dal concetto obbligazione=rendimento certo, e che dovrebbe tendere verso un’asset allocation di questo tipo (qui di seguito espressa in modo schematico, senza peraltro rapportarla come si dovrebbe fare al livello di volatilità/rischio di ciascuna asset class):
20% flusso cedolare da bonds lunghi (es.: BTP?)
20% bonds corporate (o azioni ad alto dividendo)
20% prodotti alternativi (ormai ci sono SICAV multimanager UCITS3 compliant con liquidità giornaliera)
20% ETF su indici azionari di mercati maggiori (es.: MSCI World, USA)
20% mercati emergenti
Ne emerge un’asset allocation di gran buon senso, di taglio molto anglosassone e comunque di notevole raffinatezza nella sua apparente semplicità. Un piccolo capolavoro di comunicazione finanziaria.
Ma non è tutto qui.
“Il livello della speculazione finanziaria mondiale è risalito fino a tornare ai livelli prima della “prima ondata”, quella dei mutui subprime del 2007-2008, per intendersi. Il comunicato è il segno che la lezione non è bastata. Siamo infatti di nuovo a circa un milione di miliardi di dollari l’anno, rispetto ad un prodotto mondiale lordo intorno ai settanta mila miliardi di dollari – il che vuol dire un’economia virtuale che vale quasi 15 volte l’economia reale e con tale peso gigantesco gli si sovrappone, dirigendola e condizionandola. Dietro questo rapporto c’è, intatta, la bolla speculativa sul cui valore effettivo gli esperti si interrogano da oramai un quinquennio e che prima o poi dovrà venire a galla. La “seconda ondata”, quella dell’attacco speculativo ai titoli di Stato europei nel 2011, vorremmo tutti che fosse passata. In questi giorni la stampa ci vuole persuadere che il peggio è passato, la UE si è grosso modo accordata, lo spread è rientrato nei limiti, la Grecia ha forse raggiunto un accordo con i suoi creditori dell’alta finanza mondiale. Vorremmo tutti che fosse così, vorremmo credere a queste sirene ottimistiche che devono incantarci per rassicurarci. Ma sappiamo che non è così, e dobbiamo dunque dirlo chiaramente. La Federal Reserve americana e la BCE europea non hanno fatto altro in questi anni che guadagnare tempo per evitare il crollo delle grandi banche, dei grandi investitori istituzionali, dei cosiddetti “conglomerati” della finanza – quelli, in breve, che operano controllando banche, pacchetti azionari delle grandi multinazionali, dei grandi servizi finanziari come quelli assicurativi e dei fondi pensione. Hanno iniettato nel sistema della circolazione finanziaria migliaia di miliardi di dollari e di euro, a tassi stracciati, ottenendo in cambio in garanzia titoli sulla cui affidabilità i dubbi sono molti, in quanto molti di essi stanno proprio dentro la bolla speculativa di cui abbiamo parlato. Queste iniezioni di liquidità non sono affatto destinate ad aumentare la circolazione del denaro, il credito e gli investimenti nel sistema produttivo: sono in realtà destinati a rallentare per almeno un triennio il venire a galla della bolla speculativa, ossia l’affiorare di titoli che non valgono più nulla e le relative perdite annidate nei bilanci delle maggiori aziende mondiali. Si tratta di una disperata corsa contro il tempo: in questo triennio si spera infatti che le misure di spaventoso rigore che si sono adottate contro i cittadini americani ed europei riescano a drenare ulteriori risorse per il sistema finanziario globale, passando attraverso le finanze pubbliche, in questo caso – in maniera da dare il tempo alle banche di accumulare nuove risorse con cui alimentare il circolo vizioso avviatosi da un paio di decenni. L’annuncio è sulla stessa linea, rivolgendosi ai risparmiatori: “credete ancora in noi, dateci ancora i vostri soldi”, altro che mondo nuovo! Il problema di fondo è che la crisi è strutturale, per ragioni che si possono descrivere abbastanza rapidamente. Il capitalismo occidentale non ha più i livelli di investimento e di produttività che ne hanno rappresentato la forza propulsiva per circa una settantina d’anni, dagli anni Novanta del XIX secolo agli anni Sessanta del XX, grazie anche a due guerre mondiali, che hanno favorito la “distruzione creativa” di cui il sistema necessitava. A questo calo fisiologico, legato fra l’altro al fatto che le società post-industriali sono ormai focalizzate per il 70% almeno del proprio prodotto interno lordo sui servizi, notoriamente assai meno produttivi del settore primario e di quello industriale – si aggiunge un continuo invecchiamento della popolazione, con i ben noti effetti sul costo complessivo della vita sociale. Nel frattempo, l’enorme fame di energia di un sistema che presuppone uno sviluppo infinito ha instaurato un circolo vizioso fra consumo di energia, costo delle materie prime agricole (cibo) e distruzione delle risorse primarie terrestri (aria, acqua, suolo) – con costi enormi che cominciano ad essere considerati solo da una ventina d’anni. Il modello del capitalismo occidentale ha dunque trovato con la mondializzazione i propri inevitabili limiti materiali: di capacità produttiva, di risorse materiali e di tecnologia. Per tacere del sistema di vita che impone all’essere umano, delle ineguaglianze e dello sfruttamento che genera ed alimenta. Nemmeno l’innovazione introdotta dalle tecnologie web ha modificato di una virgola la questione: il capitalismo del web non è altro che un sistema marketing in grado di raggiungere numeri enormi di utenti in tempi istantanei, ma è solo una straordinaria manifestazione di capacità di promozione e, assai meno, di vendita. Non è certo in grado di accrescere la produttività globale o di generare nuovi prodotti o nuove capacità industriali. È l’estrema propaggine della affluent society degli anni Sessanta: iper-tecnologizzato e mondializzato quanto vogliamo, rimane un puro strumento consumistico. I dati di fondo della crisi non sono dunque cambiati. Il funzionamento del sistema non ha subito modifiche, per cui la speculazione finanziaria resta l’ultimo motore marciante: lo dimostra il fatto che nulla è stato fatto in questo drammatico quinquennio in tema di regolamentazione dell’enorme mercato over the counter, quello per capirsi degli strumenti speculativi più pericolosi e spregiudicati; nulla si è fatto per regolamentare i sistemi di rating, che continuano ad avere un potere sovraordinato a quello degli Stati, senza alcuna fonte di legittimazione democraticamente riconosciuta; nulla si è fatto nemmeno, nonostante i ripetuti annunci, in tema di tassazione della speculazione, nelle varie forme ipotizzate di Tobin tax e simili. Questa sconcertante inerzia su di un punto focale della crisi, ha confermato che l’intreccio, anch’esso oramai sistemico, fra potere economico e politica determina la soggezione dei sistemi di democrazia parlamentare occidentale alle grandi istituzioni finanziarie: i costi della politica, l’inefficienza degli Stati nazione contemporanei, tutto facilita la rude presa di quelle istituzioni sugli uomini degli apparati di partito e sulle burocrazie amministrative dei grandi Paesi industriali, fino ai livelli di regioni, province e comuni. La perdita del senso di comunità nazionale, di idealità patria, ha lasciato il varco a un controllo oramai diretto delle tecnocrazie espressione di quegli interessi finanziari sui governi nazionali, come dimostrato da ultimo dal caso della Grecia e dell’Italia. Ma le elezioni in corso negli Usa, da questo punto di vista, saranno non meno istruttive, se si guarda ai finanziamenti dei candidati in corsa. La prima ondata (2007-2008) è dunque passata, portando povertà e disoccupazione negli Usa ed allargandosi all’Europa. La seconda (2011) ha colpito qui durissimamente anche il cosiddetto “capitalismo sociale di mercato”, con effetti profondi su milioni di cittadini europei, effetti di cui cominceremo ad accorgerci nei prossimi mesi. Se, come crediamo, i provvedimenti fin qui adottati servono a guadagnare tempo e non hanno toccato i dati di fondo per come li abbiamo sintetizzati – dobbiamo allora attenderci, in un arco di tempo assai breve, l’inevitabile terza ondata. Riteniamo che questa sarà a quel punto più grave delle precedenti, perché dovremo fare i conti con l’affiorare effettivo della bolla speculativa che si continua a cercare di mascherare, per non porre il sistema dell’alta finanza internazionale con le spalle al muro: questo significherà portare allo scoperto le perdite sottostanti, il che vuol dire distruzione di ricchezza virtuale e riconduzione ai dati produttivi reali di un sistema in crisi strutturale. In poche parole, vuol dire “vedere” le carte delle speculazione in questa gigantesca partita a poker mondiale. A quel punto sarà in gioco l’economia reale: vale a dire gli interessi quotidiani delle persone, rapportati all’arco temporale della vita di un essere umano – non più a quello, virtualmente infinito, delle banche e degli Stati. Su questo punto, nessuna delle misure adottate in questi mesi ha nemmeno sfiorato la questione di fondo: essa è centrata sul lavoro umano, sul suo valore, diverso da quello di pura merce, nell’organizzazione sociale, nel suo rapporto con l’economia da una parte e con il diritto dall’altra. Da qui si dovrà muovere ad una considerazione diversa dell’organismo sociale nel suo complesso, e si dovrà di conseguenza por mano realisticamente alla questione della moneta, dato che il suo modo di essere concepita si presta ad essere strumento per eccellenza della speculazione. Questa è dunque la nuova questione sociale che la terza ondata porrà poderosamente all’ordine del giorno, come già avvenne alla fine dell’Ottocento, e lo farà su dimensioni talmente estese da evidenziare in modo immediato l’insufficienza degli attuali uomini di potere, dei tecnocrati, delle classi dirigenti dei partiti, degli intellettuali prodotti dalle nostre università. Per il manifestarsi di una simile questione sociale occorre, con umiltà ma anche con decisione e con consapevolezza, attrezzarsi, vivendo nell’economia reale, cercando di ritrarne un quadro vivo ed efficace, raccogliendo uomini ed idee nuove, suscitando soprattutto forze morali senza le quali nessuna economia così come nessuna organizzazione sociale può pensare di affrontare il proprio avvenire. È tardi, ma potrebbe ancora non essere troppo tardi.”
Questo commento di Gaetano Colonna, tratto dal sito di Arianna Editrice, deve far riflettere. Personalmente ne condivido gran parte, soprattutto per le connessioni tra finanza e sociale.
BULL MARKET SECOLARE?
Pochi giorni fa, un’altra grande, anzi grandissima ed estremamente influente banca USA ha inviato – per bocca di uno dei suoi strategists – due inputs fortissimi: (1) i mercati azionari sono in un nuovo Bull Market secolare; (2) le azioni sono da preferire ai bonds, ai quali bisogna dare un “long term goodbye”, un addio di lungo termine (leggi: fine della fase secolare deflazionistica iniziata negli USA all’inizio degli anni ’80, in Europa dopo l’unificazione delle due Germanie dopo l’89).
Entro parzialmente nel merito della questione, in quanto troppo importante: intendo dissezionarla nei suoi vari aspetti in uno Special Report che produrrò dopo Pasqua. Mi limito a mostrarvi due grafici di lungo periodo dei tassi decennali USA e Europa.
I due grafici non meritano commenti. I tassi sono sotto la seconda standard deviation di lungo termine: scandalosamente bassi, pilotati, inferiori a qualunque remunerazione sensata in relazione all’inflazione. Quindi il “call” della grandissima banca americana ha un suo forte senso statistico.
A questo punto sono andato a ricercare nel passato e – sicuramente per un mio limite – non sono ahimé riuscito a trovare nessun “call” analogo da parte delle grandi istituzioni, CHE FOSSE ALTRETTANTO TUTELATIVO DELL’INVESTITORE, SPECIE NELLE FASI CRITICHE, nell’intero periodo 2000-2012.
Dal 2000 in poi si è sviluppato un Bear Market azionario secolare sui mercati occidentali, che ha eroso enormi ricchezze e potere di acquisto. Il MIB è passato da 50000 a 13000 e ora è a 16000. Quando e da chi ne avete sentito parlare la prima volta? Quale istituzione nel 2000 diceva altrettanto pubblicamente, acquistando spazi pubblicitari: c’è una bolla pazzesca, i rischi sono enormi? Chi, a parte Roubini (che non apparteneva all’entourage delle grandi banche) e qualche altro gufo, nel 2007 (MIB sopra 40000, oggi – 2012 – 16000) diceva che c’era una bolla del credito e rischi enormi nella leva finanziaria? Quale istituzione ha parlato dell’oro – che nel frattempo è salito da 300 a oltre 1600 USD – come un asset alternativo e plausibile?
E adesso, 36 mesi dopo l’inizio di questo ciclo, dopo che l’oro è dov’è, dopo che il Nasdaq nonostante le fanfare ha soltanto recuperato la metà esatta di quanto aveva perso tra il 2000 e il 2003,
dopo che gli indici USA hanno più che raddoppiato e dopo che il DAX è tornato vicino ai suoi massimi storici,
gli stessi che NON hanno detto nulla di ciò che doveva essere detto in 12 anni ci dicono che siamo in un Bull Market secolare e ci forniscono l’asset allocation.
Grazie della consulenza gratuita: ne terremo tutti conto ma – personalmente – preferisco pensare con la mia testa e seguire i miei modelli.
Sono il creatore del Composite Momentum e di numerosi altri modelli quantitativi e indicatori di analisi tecnica. CSTA (Certified SIAT Technical Analyst) e MFTA (Master of Financial and Technical Analysis), il livello più alto riconosciuto dall’associazione mondiale IFTA. Vincitore di premi, tra cui il John Brooks Award e due edizioni del SIAT Award, sono fondatore della Market Risk Management (marketrisk.it), società leader nei servizi di advisory indipendente (cicliemercati.it). Attualmente ricopro cariche istituzionali all’interno di IFTA e SIAT. Per chi fosse interessato qui c’è il mio profilo completo.