Ospitiamo con piacere questo interessante intervento di Giuseppe G. Santorsola, Professore Ordinario di Corporate & Investment Banking e Corporate Finance, Università Parthenope di Napoli
- Premessa
Con una decisione destinata a rivelarsi storica, la maggioranza, comunque ridotta al 52% dei cittadini britannici (in prevalenza inglesi e gallesi e non scozzesi e nordirlandesi o gibriltars), ha votato a favore dell’uscita del Paese dall’Unione europea. Un indirizzo comunque significativo, non vincolante nello spirito costituzionale britannico, ma fortemente incidente nella logica democratica.
Il risultato (“leave”), che ha sorpreso sondaggisti e bookmakers (che alla chiusura dei seggi avevano previsto, unanimemente, la vittoria del “Remain”), ha creato panico nei mercati finanziari: la borsa di Tokyo è calata nella notte GMT del 23 giugno, seguita da tutte le Borse europee (con valori invero differenziati, ma coerenti con la valutazione corrente della rischiosità di ciascun paese) , la sterlina è stata scambiati ai minimi dal 1985, l’euro scivolato sotto 1,10 dollari. Le banche centrali del G7 (con atteggiamenti invero coerenti fra loro, salvo il caso della Bank of England) per fronteggiare l’ondata di fortissima instabilità hanno operato prevalentemente sul lato cash e bond senza intervenire nel campo stock. Un’ondata di panico nel brevissimo termine, certamente destinata a rientrare come tale, ma che susciterà importanti riflessi, differenti ma consistenti.
E’ certamente difficile presentare i possibili scenari e disegnare i comportamenti nei diversi segmenti dell’attività economica, sotto i profili dell’impatto macro-economico e di sistema e micro-economico gestionale. Si può ben comprendere la disaffezione popolare (e non solo populista) verso l’Unione Europea, ma la scelta di abbandono, in luogo di quella di cambiarne le regole, è errore che potrebbe condurre alla caduta del percorso tendenziale verso l’unificazione. Possiamo individuare alcuni temi da approfondire, partendo dal presupposto che le reazioni istintive iniziali non sono di per se indicative della situazione che potrebbe verificarsi su un orizzonte temporale più lungo.
- L’approfondimento
In merito al cammino dell’Unione Europea, la difficoltà certamente inusuale di questa fase, non è un’eccezione rispetto ad esperienze storiche del passato. Gli Stati Uniti d’America hanno impiegato quasi 100 anni per conseguire un’effettiva unità dovendo transitare attraverso due guerre interne (quella di secessione fra Nord e Sud tra il 1861 e il 1865 e quella (molto più lunga e di fatto iniziata poco dopo la dichiarazione di indipendenza del 1776) di conquista dall’Est all’Ovest), esperienze fortunatamente assenti nei primi 60 anni dal Trattato di Roma. Dobbiamo riconoscere ex-post che queste drammatiche circostanze hanno costituito il fondamento di un’unità federale particolarmente coesa che ha costituito la forza della società statunitense americana.
Peraltro, è opportuno sottolineare come nel caso americano, si è trattato di uno scontro fra civiltà fortemente diverse: quella europea anglosassone emigrata nei 13 stati fondatori, quella originaria della terra americana e quella emigrata (in regime di schiavitù) dall’Africa. Tralasciamo ovviamente il fenomeno dell’immigrazione successiva di altre stirpi americane, oggi rilevante per dimensione.
Nel caso europeo, dobbiamo considerare il diverso scenario di fondo che ha visto aggregarsi civiltà simili fra loro, dense di storie comuni, spesso caratterizzate da forti conflitti, ed ognuna conscia della propria forza culturale solo apparentemente più facile da far convivere. Resta infine da valutare l’effetto della convivenza di Paesi, comunque autonomi e regolamentati, ma con forti differenze a livello di sviluppo economico, soprattutto nel corso del ventesimo secolo, quello che ha determinato lo sviluppo del maggior tasso di ricchezza reale. La volontà di aggregare il maggior numero di Paesi ha prevalso sullo sforzo di armonizzare regole storicamente molto differenziate.
Per quanto concerne inoltre l’esperienza della Gran Bretagna, la sua partecipazione all’Unione Europea si è sviluppata nel momento della formazione della Comunità Europea (nel 1972 e successiva alla fase del Mercato Comune), ma ha incontrato difficoltà evidente con l’attuazione dell’Unione Finanziaria, del Sistema Monetario Europeo e, particolarmente, dell’Unione Monetaria. E’ evidente che quest’ultima fase, determinante in prospettiva futura, ha acuito comportamenti nazionali(stici), aggregando Paesi più forti con più deboli accentuando la resistenza al cambiamento. Ulteriormente, il passaggio di alcune potestà legislative e di controllo a livello centrale (il Parlamento Europeo, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea), ha generato comportamenti non sempre ben accetti dai singoli Paesi. Si sono determinate velocità differenziate, scelte di resistenza al cambiamento e profonde insoddisfazioni reciproche. Ciascuna nazione riteneva, per motivazioni internamente comprensibili, di dover far prevalere il proprio punto di vista. I risultati negativi che ne sono conseguiti, anche a causa di crisi sistemiche, hanno favorito il successo delle posizioni meno disponibili all’aggregazione.
L’esito del referendum britannico (o forse inglese e gallese) ha esaltato nell’immediato i sentimenti contrari alla scelta unitaria di lungo periodo. Non enfatizzerei questa 3
condizione, valutando invece il messaggio sottostante che dovrebbe invitare alla revisione di quanto vi sia di critico nella condizione attuale, trasformando il risultato nell’occasione di rimeditare le motivazioni sociali ed economiche che spingono verso la prosecuzione del cammino storico. Risulta sconfitta questa visione tattica dell’Unione Europea, non quella strategica. Accettare l’esito senza reagire sarebbe il riscontro peggiore; nell’ottica dei secoli passati sarebbe come accettare come definitiva una sconfitta nella singola battaglia senza proseguire la guerra nell’ottica della vittoria. Nessuna esperienza del passato ha avuto esito vittorioso senza passare attraverso sconfitte, dall’epoca della Magna Grecia alla Seconda Guerra Mondiale. Le reazioni del “giorno dopo” il 23 giugno testimoniano la presenza di forze contrarie anche all’interno dei soggetti vittoriosi nelle urne. E’ particolarmente nevrotica l’interpretazione leggibile nella richiesta di un ulteriore referendum, capace di raccogliere duemilioni e mezzo di firme nel solo week end successivo. Altrettanto, le ipotesi di soluzioni separatiste da parte della Scozia e dell’Irlanda del Nord. Lo scenario di breve termine, attualmente sconosciuto, non sarà certamente quello leggibile nell’immediato.
Si scontrano reazioni razionali ed irrazionali e ciò è naturale nella lettura dei comportamenti del popolo, sovrano nelle scelte, ma non per questo incontrovertibile nelle proprie posizioni. La razionalità ci informa che il due per mille della popolazione ha creato le condizioni oggi determinanti per lo stato di confusione che caratterizza i giorni attuali. Dobbiamo considerare anche che molti soggetti “razionali” (gli operatori dei mercati finanziari) hanno reagito secondo il modello opposto, forse per conseguire risultati invero logici e cioè un vantaggio generato dalla volatilità dei mercati stessi. Questo elemento appare come l’elemento determinante che ha guidato le scelte degli ultimi anni, costituendo il vero driver degli scenari nel ventunesimo secolo. Sotto il profilo politico la volatilità ha caratterizzato il movimento delle percentuali conseguite nelle diverse tornate elettorali, mentre il settore finanziario ha realizzato risultati di grande rilievo quantitativo (positivi e negativi) esaltando movimenti di breve periodo, inconsueti nei decenni precedenti. Ne hanno sofferto l’economia reale e la vita sociale, fattori poco idonei a condizioni di instabilità. E’ facile intuire che i comportamenti delle persone, che costituiscono la maggioranza dei popoli che si esprimono attraverso il voto, sono più sensibili a questi elementi piuttosto che alle maggioranze (spesso non tali) parlamentari e alle risultanze degli scambi sui mercati finanziari.
La prima domanda cui cercare di rispondere è relativa alla ricerca degli errori commessi. La risposta è invero non relativa ad un errore, ma al riconoscimento dell’assenza di una leadership adeguata in tutti i Paesi dell’Unione. Ho la netta convinzione che i soggetti oggi governanti non hanno possibilità di passare alla storia come quelli che hanno partecipato alla fondazione del Mercato Comune e della Comunità Europea. Cito al riguardo i nomi di Churchill, DeGaulle, Schumann, Adenauer, Spaak e De Gasperi per un’adeguata meditazione. Nessuno di costoro ha mai abbandonato la copertura degli interessi nazionali, senza tuttavia cercare una soluzione utile per lo stimolante obiettivo comune di lungo periodo. Altrettanta scarsa leadership caratterizza i soggetti che gestiscono i principali istituti comunitari, spesso in contrasto con le posizioni dei rappresentanti dei singoli Paesi; un doppio binario che contrasta con il percorso verso le Unioni monetarie, economiche e politiche.
Sotto il profilo più tattico, si sono rilevati errori la velocità impressa a certe soluzioni quali l’invasività di molte (troppe) direttive comunitarie e l’introduzione diffusa e celere della moneta unica senza le basi di altrettante “unioni” politiche, fiscali, tributarie e di politica economica ed industriali. L’imposizione centralizzata ha esaltato le forze contrarie che, inevitabilmente, esistono in ogni processo di cambiamento. L’errore più grave è stato quindi quello di non considerare la possibile forza di resistenza, creando condizioni di aggregazione basate su meccanismi elitari che alimentano la reazione negativa di maggioranze erroneamente valutate come deboli e non in grado di aggregarsi. Al contrario, l’insoddisfazione si è diffusa alleando forze considerate storicamente come fra loro conflittuali, quali la destra e la sinistra, oppure le forze separatiste motivate inizialmente da obiettivi non certo convergenti.
Lo scenario leggibile è del tutto “liquido”. Nulla lascia supporre che il percorso futuro abbia sentieri inevitabili. Si può perseguire l’obiettivo storico anche senza la presenza di alcuni soggetti (una Nazione o parte di essa). Chi ha scelto attualmente soluzioni di cambiamento rispetto al passato può rimeditare in merito. Certamente vi saranno ritardi rispetto alle scadenze stabilite, ma la storia non è mai stata scritta attraverso pianificazioni quanto attraverso lo sviluppo di cambiamenti non dettati dal tempo quanto dai risultati effettivi. Mi rendo conto che tale valutazione riproduce le considerazioni che governano le scelte di portafoglio, ma – condizionato dalla mia cultura professionale – sottolineo come i rendimenti (i risultati di un progetto) non sono mai privi di rischio (le reazioni rispetto agli obiettivi) e non rispettano mai i tempi di conseguimento originariamente previsti (che si misurano comunque in decenni).
Un’ultima valutazione concerne l’inopportuno conflitto generazionale emerso nel voto (insieme a quello geografico della distribuzione del voto). Le generazioni più anziane hanno largamente premiato l’opzione “leave” contro quelle più giovani altrettanto propense per l’opzione “remain”. Questo significa che la prospettiva rimane verso l’Unione, ma richiede tempi lunghi nonché la gestione di una negoziazione difficile influenzata anche da movimenti che animano con successo soluzioni avverse.
- Alcune valutazioni di breve periodo
Per contro, dobbiamo considerare alcuni effetti più immediati che potrebbero creare condizioni di cambiamento con effetti di incertezza nel lungo periodo quali:
- La Borsa Italiana diventa un impresa controllata da una società extracomunitaria (London Stock Exchange); l’opportunità presente è quella di utilizzare la piazza comunitaria sviluppandone l’efficienza tradizionale del mercato anglosassone in un contesto che potrebbe riprodurre le condizioni che già caratterizzano EuroMot ed i suoi segmenti collaterali; un’ipotesi affascinante e difficile da approfondire con la dovuta attenzione. Per converso altre piazze europee si propongono di accogliere le quotazioni e le negoziazioni rese difficoltose con l’ancora incerto consolidamento della scelta di abbandono da parte della Gran Bretagna.
- A titolo di puro esempio, FCA (come altre aziende) è localizzata , per la sua sede sociale, in una piazza in futuro extracomunitaria, con limitato (ma sempre nell’ambito white list) scambio di informazioni tributarie; il modello è seguito da altre aziende di minore dimensione; il profilo tributario merita approfondimenti molto accurati già individuati in numerosi report delle principali società di consulenza che hanno evidenziato le difficoltà delle relazioni fra società madri e figlie, il trattamento dei dividendi nelle condizioni di agevolazione oggi vigenti e la possibile futura localizzazione in altre piazze comunitarie favorevoli per le holding industriali.
- Tutti i lavoratori comunitari a Londra sono diventati extra-comunitari (citiamo come esempi più denso di conseguenze, i calciatori in eccesso (400 nella sola Premier League) rispetto ai requisiti massimi disposti dall’UEFA); l’appetibilità delle condizioni lavorative in Inghilterra (vedremo in Gran Bretagna) è certamente in sofferenza e dovrà essere studiata in momenti meno condizionati da reazioni istintive. La reazione istintiva è certamente pessimista, ma alcune conseguenze negative appaiono certe.
- E’ certamente anomala la dominante influenza della lingua inglese nell’ambito comunitario, quando essa è – oggi – lingua madre delle sole Eire e Malta; appare incongruo che la lingua inglese risultasse eredità permanente in assenza del paese di origine.
- Dal punto di vista delle strategie e tattiche di portafoglio queste condizioni possono essere anche opportunità in ragione di alcune irragionevoli variazioni dei prezzi : per l’industria del risparmio gestito, si prospetta il rischio per rilevanti quote di posti di lavoro. Alcuni gestori si sono affrettati il giorno successivo al referendum, a inviare avvisi legali per fermare i riscatti dai prodotti di investimento. E’ accertato che la Financial Conduct Authority, l’autorità di vigilanza sui mercati britannica, abbia contattato gli asset manager la scorsa settimana per verificare se fossero attrezzati a fronteggiare l’ondata di riscatti che si prevedeva in caso di Brexit.
- I tagli ai posti di lavoro saranno probabilmente all’ordine del giorno nell’industria del risparmio gestito. Diverse case di investimento stanno progettando piani per spostare il personale da Londra agli altri punti di riferimento per l’industria dei fondi, l’Irlanda e il Lussemburgo. Il timore è che, dopo la effettiva attuazione della Brexit, gli asset manager basati in Uk potranno avere problemi ad attrarre gli investitori europei.